In Opera. Emergenza Covid-19 occasione per imparare. Task force di assistenza ai colleghi, messa in sicurezza per i più fragili, smart working ed esperimenti per conciliare tempi di vita e di lavoro

di Enrico Rotelli*

La cooperativa sociale riminese al momento del lockdown contava 700 dipendenti, di cui 450 diversamente abili, in gran parte nella commessa del Cup e Recup per le Asl del Lazio. Denis Panico, responsabile commerciale: «i servizi sanitari sono andati avanti in forma molto ridotta: Cig per circa il 65% degli addetti».

«L’Emergenza Covid ci ha sorpresi mentre avevamo in organico 700 persone, di cui circa 430 diversamente abili. Gran parte delle quali impiegate nella commessa della gestione del Cup e Recup per le Asl del Lazio, i centri di prenotazione e i contact center che da circa un anno In Opera gestisce in Ati con GPI». E’ Denis Panico, responsabile commerciale di In Opera, a ripercorrere gli ultimi, difficili, mesi di lavoro della cooperativa sociale di Rimini. Mesi difficili per tutti, come per tutti erano minati da incertezze, preoccupazioni, mancanza di conoscenza e di esperienza su ciò che avveniva, costruendo la realtà del lavoro quasi giorno per giorno.

«La prima preoccupazione è stata mettere in sicurezza i lavoratori fragili con tutti gli strumenti che il governo, attraverso i vari decreti, metteva a disposizione. – prosegue Panico – Non nascondiamo le grandi difficoltà nell’interpretare le norme e a implementare le corrette procedure da seguire. Le difficoltà del momento hanno generato nei lavoratori paure, insicurezze che come cooperativa abbiamo cercato di gestire attraverso uno sportello dedicato a seguire i dipendenti. Sportello che ha visto impegnate 5 persone nella sede centrale le quali, ciascuna con le proprie competenze, sono riuscite a fornire tutte le risposte del caso».

«L’incertezza del momento non ha colpito solo i dipendenti ma la stessa cooperativa in quanto le agende per le prestazioni per i reparti ospedalieri non avevano certezze sulla tempistica e sulle misure che attenevano a garantire i servizi essenziali». Nel Lazio infatti i servizi sanitari sono andati comunque avanti, seppur in forma molto ridotta. Questo ha comportato l’utilizzo della cassa integrazione per circa il 65% degli addetti, in egual misura tra i dipendenti di categoria protetta o meno. «E’ stata l’occasione per imparare da questa emergenza. Una buona parte dei nostri colleghi impegnati sono stati messi in condizione di lavorare da casa, in smart working. Abbiamo potuto quindi fare tesoro di questa esperienza che, seppur temporanea, ha permesso di sperimentare delle soluzioni di conciliazione di vita e di lavoro, sopratutto per le colleghe con figli piccoli o madri single, ad esempio. Ma anche per una parte di lavoratori più fragili che necessitavano di interventi mirati per garantire loro delle condizioni lavorative adeguate».

*Responsabile Comunicazione cooperativa

29 giugno 2020


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