I nuovi volti del Cda del CSR. Giovanni Benaglia: “Valore cooperazione centrale nella nostra democrazia”

Cooperative sociali tagliate fuori dalle gare al massimo ribasso, ma portatrici di valori centrali nella nostra democrazia. E ancora: la cooperazione sociale come opportunità e non assistenzialismo. Parole di Giovanni Benaglia, dottore commercialista in Rimini e da 10 anni revisore dei conti del CSR e, da diverso tempo, anche socio della cooperativa Cento Fiori, per la quale svolge attività di direzione e gestione organizzativa e supporto al presidente nelle scelte strategiche. Nell’ultima assemblea è entrato nel Consiglio di amministrazione del Consorzio Sociale Romagnolo.

Giovanni Benaglia, da quanti anni conosce la cooperazione sociale e da quando si è avvicinato ad essa?
Conosco la cooperazione sociale da almeno dieci anni e mi sono avvicinato a questo mondo in modo pressochè casuale, quando mi è stato chiesto di far parte del Collegio Sindacale del CSR.

E’ entrato nel Cda del CSR in rappresentanza della cooperativa Cento Fiori: che incarico svolge?
Attualmente seguo l’attività di Direzione e Gestione Organizzativa e supporto il Presidente Cristian Tamagnini nelle scelte strategiche che riguardano la Cooperativa.

Da due lustri all’interno del Collegio sindacale del CSR: che bilancio della sua attività?
Sono entrato nel Csr attorno al 2007 inizialmente come componente del collegio sindacale: devo ammettere che prima di assumere l’incarico di sindaco revisore non conoscevo la realtà della cooperazione sociale e non mi ero interrogato più di tanto, sul suo valore sociale ed economico.

Che ricordi ha di questo periodo?
Ricordo particolarmente un fatto personale che però da la misura di come la cooperazione guarda al merito e a far crescere professionalmente le persone investendo su di loro: quando mi è stato chiesto di far parte del Collegio Sindacale ero molto giovane e mi ero appena abilitato all’esercizio della professione. Nonostante questo gli allora soci del CSR mi hanno indicato come sindaco revisore, affidandomi un ruolo di grande responsabilità ma con l’obiettivo di farmi acquisire esperienza. Di questo ancora li ringrazio, perchè non era affatto scontato.

E come valuta, oggi, l’operato del CSR?
E’ scontato dire che è positivo. Ma effettivamente è così! E’ indubbio che il Consorzio, quale ente di coordinamento del vasto mondo della cooperazione sociale del nostro territorio, svolge un ruolo di supporto commerciale e gestionale, oltre che alle cooperative più strutturate, anche a quelle più piccole, che da sole non riescono ad avere determinati servizi. Mi viene in mente, per esempio, la parte che riguarda la partecipazione alle gare pubbliche: molte piccole cooperative non hanno al loro interno un ufficio gare e quindi si trovano nell’impossibilità di parteciparvi perchè sono, oggettivamente, complicate dal punto di vista burocratico. Il CSR sopperisce a queste carenze e predispone le gare consentendo anche a piccole realtà di confrontarsi con il difficile campo degli appalti pubblici. Per certi versi funziona anche da incubatore per nuove realtà cooperative: accoglie come socie anche quelle neocostituite, accompagnandole nella crescita.

Adesso che è nel Cda, che percezione ha del Consorzio?
Da dieci anni a questa parte mi si è aperto un mondo, che è quello del reinserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati. La vera ricchezza che si produce in questo mondo non sono gli utili a fine anno di un proprietario d’impresa, ma la crescita delle persone, soprattutto svantaggiate, che ci lavorano dentro. Persone che, se non avessero questa opportunità, sarebbero consegnate all’emarginazione e alla ghettizzazione.

Su quali temi secondo lei è importante che il CSR prenda posizione?
Sul valore sociale del proprio operato e sul fatto che la cooperazione sociale non offre assistenzialismo, ma opportunità. Nelle cooperative di tipo B la persona non viene assistita ma diventa parte attiva, attraverso il proprio lavoro, di un processo produttivo. Attraverso l’impiego, si realizza dapprima come persona e poi come parte integrante di una comunità. Tutto ciò non è banale, in una società che ormai quantifica il valore economico di ogni cosa. Con l’assistenzialismo la collettività spende, con la cooperazione sociale, invece, al contrario si arricchisce in ragione del fatto che le persone svantaggiate diventano economicamente autonome.

Quali sono invece i temi legati alla cooperazione sociale che personalmente la interrogano di più?
La sostenibilità economica di ciò che facciamo. La cooperazione di tipo B è, nei fatti, una impresa che sta sul mercato e che deve competere con esso. Ciò significa che dobbiamo interrogarci molto di più sulle attività che le nostre cooperative sociali svolgono, perché è sulla base di queste che poi possiamo giudicarne la sostenibilità e l’inevitabile sopravvivenza. Mi rendo conto che è la bieca logica di impresa anche se, alla fine, vi è l’attenuante, non banale, che non perseguiamo il profitto.

Dal punto di vista ‘storico-economico’, che momento sta vivendo il mondo della cooperazione sociale?
Per il piccolo mondo che vivo io, direi che non scoppia di salute. Con una netta distinzione, però: le cooperative sociali di tipo A vivono ancora una prospettiva positiva anche perché forniscono servizi soprattutto agli enti pubblici. Quelle più in sofferenza sono quelle di tipo B, che si trovano invece a competere in una realtà economica difficile, non avendo spesso vantaggi competitivi evidenti.

E’ un tema molto dibattuto: sono le nuove logiche di mercato che regolano, ormai, anche la cooperazione sociale.
Se accettiamo la logica del mercato occorre che facciamo una riflessione importante su quali tipi di servizi o prodotti offrono le cooperative sociali. La maggior parte compete in settori maturi e a basso valore aggiunto, per cui è inevitabile avere delle sofferenze in quanto la competizione è massima e in alcuni casi anche scorretta sul piano del rispetto delle regole, soprattutto di quelle in materia di lavoro. Ecco, forse occorrerebbe fare uno sforzo e cercare di competere in mercati in cui i margini sono più interessanti. Capisco, però, che per arrivare a una innovazione di impresa profonda occorre un percorso di esperienza molto lungo.

Qualcuno sostiene che la cooperazione sociale non sia più quella di venti anni fa e che oggi le cooperative sociali siano divenute ‘altro’: sarebbe cioè andato perduto lo ‘spirito’ delle origini. Cosa ne pensa?
Non penso che sia cambiato lo “spirito delle origini”. Tutte le realtà cooperative che vedo io hanno ancora l’elemento del lavoro e della partecipazione del singolo socio al loro interno. Certamente, in vent’anni è cambiato il mondo ed è cambiato il contesto in cui operano le cooperative. Come dicevo prima, la cooperativa è una impresa e come tale va gestita. Di conseguenza cambia la considerazione del socio lavoratore che, oggi, deve essere parte di un processo produttivo efficiente e ed economicamente sostenibile. Senza perdere, ovviamente, l’attenzione verso la nostra ricchezza aziendale più grande, che sono i lavoratori.

Da cooperative ad imprese sociali: è stata smarrita la propria identità?
No, assolutamente. Si è semplicemente adeguata ai tempi attuali, dove il perseguimento di un equilibrio economico è la condizione necessaria per poter continuare a fare ciò che stiamo facendo. Mi sia consentita, però, una piccola divagazione: non nego che negli ultimi tempi la cooperazione in generale abbia attraversato dei momenti difficili, soprattutto per gli scandali legati a Mafia Capitale. Nonostante questo sbaglia profondamente chi pensa che parlare di cooperative sociali voglia dire parlare automaticamente di malaffare o ruberie varie. A guardare bene, gli scandali che riguardano imprese normali sono molti di più, in rapporto a quelli che vedono coinvolti delle cooperative. Però a nessuno di noi viene in mente di dire che tutti gli imprenditori sono dei delinquenti! Anche nel nostro mondo ci sono mele marce: una volta scoperte, però, sono state cacciate dal sistema cooperativo.

Per il futuro della cooperazione sociale, quali sono le sfide all’orizzonte più importanti?
Uscire dalla logica per cui la cooperazione sociale deve rivolgersi a settori a basso valore aggiunto e incominciare a investire sull’innovazione, sia in termini di prodotto e di servizio.

Con una politica del ‘massimo ribasso’ nelle gare pubbliche, questo futuro potrebbe sembrare più nero che rosa.
La politica del massimo ribasso contraddistingue molti bandi di gara degli enti locali e aziende pubbliche e para-pubbliche. Ciò comporta che tutte quelle realtà imprenditoriali sane, come sono le cooperative sociali, che rispettano i contratti di lavoro e i diritti sindacali, sono automaticamente tagliate fuori, perchè si trovano di fronte a offerte di realtà private che fanno sorgere molti dubbi sulla loro effettiva trasparenza. Inviterei, quindi, le amministrazioni pubbliche a riflettere su questo punto: è condivisibile la logica del risparmio, ma non a discapito di un impoverimento sociale sotto forma di scarso rispetto delle condizioni dei lavoratori.

Lavoro, società: che ruolo ha la cooperazione sociale nella storia del nostro Paese?
Il valore della cooperazione è centrale nella nostra democrazia, tanto da essere riportato anche nella nostra Costituzione. Nelle coop sociali non esiste il “padrone del vapore” che sfrutta la manodopera per arricchirsi personalmente. Da noi, il padrone è il lavoratore che diventa socio, partecipa in maniera democratica alla vita della società e non abbiamo azioni da pesare o da contare. Ciascuno conta per lui stesso a prescindere dalla sua condizione economica. Ciascun socio cooperatore costruisce giorno per giorno il proprio lavoro e la propria vita. Sfatiamo, inoltre, anche il mito che le cooperative si arricchiscono, perché è un falso. Se la cooperativa guadagna, questo utile alla fine dell’anno viene suddiviso fra tutti i soci in parti uguali indipendentemente dal capitale conferito.

21 settembre 2017


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