Adriacoop, D’Angelo: “Riconversione e fiducia, le parole chiave per uscire da due anni difficili”
Adriacoop è una cooperativa sociale multiservizi di tipo A e B aderente al CSR-Consorzio Sociale Romagnolo e guidata da Giulio D’Angelo: nasce nel 2007 su iniziativa di un gruppo di persone legate da un’esperienza di collaborazione con Prime Cleaning, una società cooperativa specializzata nell’erogazione di servizi integrati sul territorio nazionale. Adriacoop oggi, fra le altre cose, si occupa di pulizia e sanificazione, ma anche di portierato e vigilanza, logistica e facchinaggio, giardinaggio e pulizia delle strade. Con Giulio D’Angelo facciamo il punto sull’attività della cooperativa.
Presidente D’Angelo, iniziamo dalla pandemia: come avete vissuto questo biennio?
Nel 2020 c’è stato un aumento del fatturato del 50%. Abbiamo toccato i 3 milioni di Euro, anche grazie all’attività di controllo delle temperature negli ospedali di Rimini, che gli operatori della cooperativa hanno seguito direttamente. Diverse attività erano ‘saltate’, ad esempio, a causa delle scuole chiuse: niente sporzionamento nelle mense. Quindi alcuni operatori sono stati ricollocati, ma chi voleva poteva anche scegliere di restare a casa. Nel giro di poco tempo siamo riusciti a garantire la piena occupazione a tutti.
Il 2021 ha riconfermato il buon esito del 2020?
Sì, è stato un anno positivo anche se il fatturato si è ridimensionato. Abbiamo però iniziato ad esportare le nostre competenze attivando convenzioni ex Legge Regionale 17 anche fuori territorio (Modena). Uno strumento molto importante, ma la norma si era irrigidita troppo, precludendo di fatto molti inserimenti lavorativi: sembrava si stesse allentando ma dopo lunghe attese il risultato è più che deludente. Ma il reddito di cittadinanza ci ha fatto concorrenza: ci sono persone che non hanno voglia di riscatto, che preferiscono stare a casa invece di mettersi in gioco. Abbiamo fatto fatica e la facciamo ancora a trovare personale.
Quali sono i vostri servizi princiali?
Ci occupiamo di pulizie, di portierato e di controllo accessi: per esempio nel 2020 abbiamo lavorato per la ASL della Romagna e per i centri commerciali, per il Caar e l’Università, controllando la temperatura e fino a poco fa il green pass. Poi siamo impegnati nella preparazione dei pasti nelle scuole del comprensorio del Comune di Sarsina, a Poggio Torriana per lo sporzionamento; e poi facciamo servizio OSS nelle strutture RSA e case di riposo.
Qualche dato sul personale della vostra cooperativa?
Su 130 persone, ne ho quasi la metà appartenenti alle categorie dello svantaggio. In questo momento (settembre 2022, ndr) ho una richiesta di convenzioni per inserire 30 operatori svantaggiati, ma non ci sono anche per via della rigidità della legislazione vigente. Per questo ci siamo lamentati come cooperativa in tutte le sedi. Alla fine, unendo nel nostre voci, siamo riusciti ad ottenere un allentamento dell’articolo 3 comma 3 della 104 ma siamo ancora lontanissimi dal risultato sperato.
Adriacoop è attiva anche extra Emilia-Romagna. Per esempio in Lombardia. Per chi lavorate e come sta andando?
È un mercato importante perché gli svantaggiati hanno tutti la possibilità di lavorare, in quanto i regolamenti sono meno stringenti: in Regione mi hanno confermato di aver ‘copiato’ la norma dell’Emilia-Romagna e di averla migliorata. Siccome per poter lavorare in Lombardia occorre però avere il 60% del fatturato sviluppato in quella regione, siamo stati tra i soci fondatori e promotori di Equalis, una realtà che ha il know-how di Adriacoop e nella quale sono confluiti diversi nostri ex dipendenti. Il 100% dei dipendenti appartiene alle categorie dello svantaggio. Il fatturato ha toccato i 3 milioni di Euro.
In Emilia-Romagna non sarebbe stato possibile?
Nella nostra Regione si vogliono collocare gli incollocabili. Abbiamo avuto bellissime idee e norme all’avanguardia, ma poi le abbiamo rese inutili perché le abbiamo estremizzate. Tutte le cooperative si stanno lamentando. Per imprese come Zucchetti, Del Conca, Bartorelli, Adriacoop svolge lavori importanti ma finiamo, in ossequio alle norme, per collocare persone che non sono nel loro contesto migliore e che a causa della tipologia del loro svantaggio fanno veramente fatica…
Qualche esempio concreto di questa difficoltà di collocazione?
Oggi possiamo assumere svantaggiati al 67%. Ma se si tratta di una persona ultracinquantenne disoccupata e ha il 60% di svantaggio, non riesci a collocarla. Se ha il 50% ed è monogenitore con un figlio minore a carico, la devi poter collocare anche se ha “solo” il 50%, perché è in grave difficoltà, il suo bisogno è autentico.
Ha in mente qualche esempio?
Una persona certificata con uno svantaggio del 55% si è ammalata di tumore al cervello: non ha chiesto l’aggravamento perché ha figlia autistica e ha paura che le tolgano la patente, che è per lei fondamentale. Ecco la realtà con cui facciamo i conti tutti i giorni. E se non ci pensiamo noi a queste persone, chi può farlo? E sottolineo: in questo contesto sociale, i nostri sono servizi sottoposti alle leggi del mercato.
L’ultima volta che è stato soddisfatto?
Tramite il CSR Consorzio Sociale Romagnolo abbiamo attivato una convenzione con una società del mondo Ferrari per la preparazione di kit omaggio. Siamo riusciti ad inserire una persona disabile: l’azienda era tanto soddisfatta del lavoro che veniva svolto che alla fine ha scelto di assumere direttamente la persona svantaggiata. È questo il mondo ideale in cui vorremmo vivere! Questo è il motivo principale per cui facciamo questo lavoro. Però…
Però?
…se l’assunzione diretta della persona svantaggiata è stata un grande risultato di cui siamo tutti orgogliosi, in pratica a livello burocratico ci sono state poste problematiche direi fini a se stesse, che poi finisce che ricadono spesso e volentieri sul lavoratore medesimo. Ma era scritto nel buon senso che questa persona potesse essere assunta, se se ne fosse presentata l’occasione! Ma in Italia la burocrazia ammazza più dello spread!
La burocrazia ammazza più dello spread: è una sintesi efficace…
Oggi abbiamo una norma ‘ingessata’ e stiamo cercando ridargli nuovo vigore, per riprendere in mano quello che era il disegno originale della Legge Regionale 17. Nel 2005 la normativa era troppo ‘larga’, oggi è troppo ‘ristretta’. Il risultato è che, non potendo entrare nel mondo del lavoro, si sono messi tutti in coda per il reddito di cittadinanza.
Qual è oggi lo stato di salute della Legge 17? Quali novità?
Purtroppo, un timido tentativo di migliorare la convenzione attuativa della normarla c’è stato, ma il risultato è sterile. Ancora non ci siamo, sembra quasi un ostinazione a rendere la nostra mission sempre più ardua, ma non per questo demordiamo, anzi, ogni nuovo progetto, ogni nuovo inserimento è un enorme successo.
Il vostro mercato però si è comunque allargato.
Al di là di aver esportato questo modello organizzativo in Lombardia con Equalis, oggi Adriacoop ha iniziato un’attività a Pianoro (Bologna) con 15 persone nella logistica e siamo presenti anche alla Cascata delle Marmore (Umbria).
Come avete attraversato la pandemia?
Cercando di non lasciare a casa nessuno, facendo il meglio per tutti e raccogliendo la fiducia di tutti. Nel 2021 non abbiamo messo nessuno in cassa integrazione. La parola chiave che ci ha guidati è stata: “riconversione” e “ricerca di nuove competenze”. E oggi, chi mi ha seguito, mi ringrazia.
In che senso?
Un esempio: la nostra falegnameria produce stand fieristici in uno spazio di 4800mq in via Tolemaide. Con il Covid le fiere sono ‘saltate’. Allora i falegnami sono stati riconvertiti in carpentieri. Ci siamo così occupati di rigenerare i cassonetti dell’immondizia danneggiati, li abbiamo laccati, rimessi a nuovo. Non abbiamo lasciato a casa nessuno, se non chi non se l’è sentita di rimettersi in gioco.
Si sente soddisfatto?
Sì, per aver traghettato 1200 famiglie (Adriacoop e società del gruppo) oltre il guado. Si sono fidate e hanno avuto fiducia. Le racconto un aneddoto: i miei dipendenti mi chiamano per i più svariati motivi: si buca la ruota dell’auto, si rompe il frigorifero… io rispondo sempre, e questo ha contribuito a generare un clima di fiducia. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per ciascuno di loro. Non per il Comune, non per la Cooperativa.
Quali sono i suoi obiettivi, dopo 30 anni di vita cooperativa?
Contribuire alla costruzione di un progetto di vita che poi l’individuo riesce a fare in autonomia. Ma abbiamo bisogno di strumenti.
Ritiene che la cooperazione sociale sia al bivio? Da un lato il rispetto delle proprie origini, della propria tradizione; dall’altro il mercato che la spinge a diventare sempre più impresa. Lei come la pensa?
Oggi dietro ogni cooperativa è necessario un progetto di impresa, un business plan di medio periodo e un manager, altrimenti il destino è segnato. A questo cambiamento siamo stati costretti, non è stato tenuto conto e non viene tenuto ancora conto dell’impatto sociale che hanno le cooperative sociali sul territorio, sul tessuto sociale, sulle famiglie e sugli individui stessi. Non c’è ascolto del bisogno e non abbiamo gli strumenti. Rischiamo di essere sempre più impresa costretta a stare sul mercato e a competere con chi ha una marcia in più di noi cooperatori del terzo settore. Purtroppo se così fosse il destino della cooperazione sociale lo vedo triste e pieno di insidie, ma a noi piace vendere cara la pelle, per i nostri ragazzi, le loro famiglie ed il nostro territorio. Io sono cooperatore da 30 anni. Oggi penso che dietro ad ogni cooperativa ci debba essere una filosofia imprenditoriale, perché stare sul mercato è l’unica via possibile.
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21 ottobre 2022