Più coesione sociale e mediazione più alta possibile: Alfio Fiori racconta la cooperazione sociale e il Consorzio che verranno

Alfio Fiori, eletto all’unanimità vicepresidente del CSR-Consorzio Sociale Romagnolo lo scorso 8 luglio 2020, in un’intervista esclusiva

Cooperatore di terza generazione per una vocazione professionale quasi incastonata nel proprio DNA. Questo è Alfio Fiori, classe 1968, nato da padre cooperatore edile e nonno cooperatore agricolo. Laureatosi in Economia e Commercio in indirizzo aziendale, conseguito il Master in Gestione dei Servizi Turistici nel 1994, dopo il servizio civile con ARCI svolto nella Comunità Terapeutica di Vallecchio di Cento Fiori, inizia la sua attività professionale nel settore del turismo.

“Mi sono recato negli uffici di Legacoop – racconta Fiori – per chiedere se conoscevano delle realtà che avessero bisogno di persone nel turismo. È così che ho iniziato in Firmatour, come impiegato. Era il 1998”. Presto si accorge che l’azienda è in difficoltà e con alcuni dipendenti si organizza per dare vita ad una cooperativa, con il supporto di Legacoop e Coop Adriatica (oggi Alleanza 3.0.) per proseguire la gestione delle attività del tour operator. “Nei due anni di gestione della crisi in Firmatour ho fatto “dieci anni” di esperienza, ricoprivo il ruolo di direttore commerciale. Poi ho avuto la mia prima figlia, avevo bisogno di un lavoro che mi lasciasse più tempo per la famiglia. Mi hanno cercato dal Comune di Bellaria come funzionario al turismo, sono uscito da Firmatour e per 16 mesi ho fatto esperienza nella pubblica amministrazione”.

Poi la ‘chiamata’ in cooperazione sociale arriva proprio da Cento Fiori: come è successo?

Mi aveva telefonato Werther Mussoni, aveva bisogno di una mano per il canile di Rimini. Ha pensato a me perché dopo il servizio civile eravamo rimasti in contatto. Mi faccio autorizzare dal Comune per fare questa piccola attività, ma Mussoni insiste: mi chiede di entrare a tempo pieno in cooperativa. E quindi, pur avendo una figlia piccola di quattro anni, accetto: lascio il Comune e inizio a svolgere l’incarico di direttore con un contratto a tempo determinato per la Cento Fiori.

Subito un’altra crisi.
Purtroppo sì. Inizio a maggio. A luglio scopriamo che la cooperativa è in difficoltà per il crollo degli ingressi nelle attività terapeutiche. Ci rimbocchiamo tutti le maniche, i soci si riducono lo stipendio, con Legacoop costruiamo un progetto di rilancio, 10 cooperative del territorio entrano con una partecipazione nel capitale di Cento Fiori e in due anni riusciamo a sistemare tutto. Oggi Cento Fiori, ci tengo a dirlo, è una cooperativa in salute che procede nel lavoro, nonostante le difficoltà del momento, con una certa tranquillità.

Da lì il passaggio in Coop134. Perché?
Prima di tutto, nel 2011 Cento Fiori, Ecoservizi L’Olmo e Nel Blu sottoscrivono un contratto di rete per gestire insieme alcuni servizi. Nel 2014 Ecoservizi L’Olmo e Nel Blu iniziano un percorso per verificare i vantaggi di una fusione e nel dicembre 2015 nasce Coop134, una cooperativa di inserimento lavorativo che occupava più di 400 lavoratrici e lavoratori. Quindi, di concerto con Cento Fiori, decidiamo il mio passaggio in Coop134.

Oggi sei Direttore Operativo. Di cosa ti occupi?
Ho la responsabilità operativa della cooperativa, insieme ai colleghi di direzione, coordino la complessità delle nostre attività e le risorse umane.

Come avete chiuso il 2019?
In equilibrio, con 16mln e 250mila Euro di fatturato. Oggi i soci complessivi sono 192, di cui 177 lavoratori. Sempre al 31 dicembre 2019 i lavoratori erano 379, ma durante i picchi estivi superiamo le 500 unità. Sono numeri importanti.

Di cosa si occupa Coop134?
La nostra attività vede per il 65% servizi di igiene ambientale, manutezione del verde per il 15%, pulizie sanitarie, industriali e civili per il 10%. Il restante 10% ci vede attivi su servizi cimiteriali, trasporti, servizi alla nautica, gestione impianti sportivi e l’attività del Centro Socio Occupazionale Laboratorio i Delfini, unica ma preziosa attività di servizi alle persone.

Lo scorso 8 luglio 2020 sei diventato vicepresidente del CSR-Consorzio Sociale Romagnolo. Che cosa ne pensi di questo strumento che è a servizio delle cooperative sociali?

Il CSR è stato decisivo per far crescere nei primi suoi 20 anni di vita la cooperazione sociale di inserimento lavorativo sul territorio di Rimini. Negli ultimi anni ha correttamente fatto la scelta di diventare davvero “romagnolo” e quindi sta allargando la sua compagine sociale con l’ingresso di molte cooperative di Ravenna, di Forlì e di Cesena. Complessivamente oggi ne associa 48, associate sia a Legacoop che a Confcooperative, consolidando il suo valore aggiunto di essere un consorzio unitario.

L’allargamento all’Area vasta della Romagna della zona di intervento – e di provenienza delle cooperative associate – è stato un passo importantissimo, non privo di complessità.
Il CSR ha accolto la richiesta che arrivava dalle cooperative sociali e dalle associazioni di categoria di allargare la sua attività nel bacino della Romagna, portando il proprio know-how a beneficio delle cooperative di quell’area che avevano esperienze consortili differenti da quella di un Consorzio come il CSR. In primis non essendo unitari, prevaleva l’ottica concorrenziale rispetto a quella di cooperazione territoriale.

Cosa che a Rimini non succede?
Nel territorio riminese abbiamo da anni lavorato assieme, anche con la fatica di dover trovare equilibri interni sempre nuovi, ma fermi, rispetto alle opportunità che ci sono. Dentro a questa situazione è arrivata, prima del Covid-19, la crisi economica. È chiaro che in un contesto lavorativo complicato, le relazioni tra le cooperative sociali a volte possono diventare meno armoniche. In questa fase – il passaggio da un periodo di forte espansione economica ad uno di stagnazione e, in futuro, di probabile contrazione – occorre che il CSR si faccia garante di un equilibrio tra le cooperative il più “alto” possibile, puntando su collaborazione e condivisione. Sarà questa la sfida dei prossimi anni.

Senza dimenticare la propria mission: l’inserimento lavorativo di persone “svantaggiate”.

Certamente. Non dimenticare mai che il nostro lavoro ha in primis una finalità sociale. Cresciamo nei servizi, cerchiamo di espanderci sul mercato, ma il necessario profitto deve coniugarsi con il lato umano e sociale del nostro lavoro: noi facciamo inserimenti lavorativi e per farlo bene dobbiamo far convivere le esigenze del mercato, il rispetto delle regole, ci tengo a ribadire che noi operiamo in totale legalità, e l’inserimento di persone. Ricordo inoltre che in una cooperativa sociale coperti spese e salari, erogati nel rispetto del CCNL, il profitto resta in cooperativa; nel “mondo esterno” l’imprenditore di turno, per quanto illuminato, lo tiene per sé. Aggiungo che la cooperativa resta sul territorio: non delocalizza la produzione o la sede legale. Crea lavoro sul territorio, inserisce persone del territorio, paga le tasse sul territorio. Ogni ora prestata in cooperativa è ora lavorata: non volontariato.

Quali sono le forze che premono sul mondo cooperativo oggi?
In particolare due: la prima è il mercato, che ci chiede perfomance e professionalità. La seconda è il fenomeno del falso volontariato e della falsa cooperazione, che fa concorrenza sleale.

Uno sguardo al futuro: quali le direttive su cui si muoverà il CSR e la cooperazione sociale nel suo complesso?
Coniugare la legalità con un mercato sempre più feroce, che ti spinge a ribassare i prezzi mettendo a rischio la dignità del lavoratore stesso e promuovere con grande forza l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, e non solo, che abitano il territorio.

Come vede la società attuale?
Le persone che fanno più fatica sono le più colpite dalla crisi. Oggi si è ulteriormente e vergognosamente allargata la forbice tra ricchi e poveri e il rischio di incremento della tensione sociale è alle porte. Per allentare questa pressione bisogna lavorare su tre piani contemporaneamente: il tema dell’abitare, del lavoro e della coesione sociale.

Alla luce della tua esperienza professionale, qual è il contributo personale che pensi di poter dare al CSR?
Mi sento portato a fare sì che la mediazione sia la più alta possibile nell’ottica della coesione e collaborazione tra le cooperative. E poi spero che la professionalità che ho acquisito sia utile per trasferire delle buone prassi. Lavorare insieme, nel CSR, con i quadri delle cooperative associate, per creare lavoro, beni e servizi nel miglior modo possibile.

 

Che sfide ha davanti il CSR?

In primo luogo c’è la necessità di addivenire ad una “tranquillità” nell’agire dei Consorzi in quanto negli ultimi tempi abbiamo registrato prima la spinta dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione sulla rotazione degli appalti (che chi come noi opera per l’inserimento lavorativo di persone che fanno fatica sa perfettamente che ogni cambiamento può comportare ulteriori aggravi), poi resta da chiarire quale sarà l’orientamento definitivo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato rispetto al ruolo Consorzio-Consorziate in sede di offerta rispetto alle stazioni appaltanti. Ricordo che la storia della cooperazione sociale è partita dall’affidamento diretto, tanti anni fa, per arrivare oggi ad un quasi 100% di gare.

E invece?
Se si opera nella consapevolezza che l’inserimento lavorativo è un valore per il territorio e che ha necessità di stabilizzazione dei rapporti di lavoro, si potrebbero fare gare riservate alla cooperazione sociale utilizzando l’art.112 del Codice degli Appalti. Oppure promuovere la coprogettazione a livello regionale. Purtroppo sono pochissime le amministrazioni pubbliche che utilizzano queste possibilità. Viviamo in un momento in cui la politica da un lato è individualistica, dall’altro nessuno si prende la responsabilità di orientare la macchina pubblica verso questa scelta di campo. I dirigenti pubblici preposti alla composizione dei bandi adesso hanno responsabilità diretta: se questi alle spalle non hanno una indicazione politica chiara, operano sempre dalla parte della maggior sicurezza possibile. Puntando quindi sulle gare competitive.

Nel momento in cui la società è più egoistica, queste dinamiche virtuose fanno fatica a crescere.
Il problema vero è riportare al centro del dibattito pubblico e dentro il lavoro il tema della coesione sociale sui territori, puntando su legalità e giustizia sociale. Ovvero: pieno rispetto delle regole e equa distribuzione delle risorse. Invece la situazione che viviamo, come già detto, è destinata a far sì che le tensioni sociali aumentino. Le cronache di questi ultimi giorni purtroppo confermano questa mia preoccupazione.

Sul tema della legalità, cosa vorrebbe aggiungere?
Le leggi sono spesso accanite con i poveri e lassiste con i ricchi: c’è una spinta fortissima alla penalizzazione del piccolo reato locale rispetto al grande reato sovraterritoriale. Basti pensare che i nostri Stati in Europa fanno la rincorsa per creare sul proprio territorio le condizioni di miglior favore affinché le multinazionali abbiano sede legale nel proprio territorio, diventando Stati a fiscalità agevolata. Le multinazionali abitano un territorio non per creare lavoro, ma solo per fini fiscali. E lo abitano fino a quando hanno convenienza, poi in un attimo cambiano sede. Invece la cooperazione sociale sta sul territorio. Ma su questo tema oggi gli italiani e gli europei sono diventati più sensibili: la crisi ha aperto gli occhi a tutti.

3 novembre 2020


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