Il significato del fare accoglienza superando “L’orlo del bosco”: CNCA e Cento Fiori hanno presentato il libro di Cecco Bellosi
L’esperienza ultratrentennale delle comunità de Il Gabbiano diventa un po’ saggio e un po’ romanzo: l’autore dialoga con Leonardo Montecchi ed Enrico Rotelli in un evento organizzato significativamente presso Casa Don Gallo, a Rimini
di Enrico Rotelli
L’orlo del bosco di Cecco Bellosi è una romantica metafora che, fin dalla copertina, apre la mente a panorami dell’accoglienza che possono avere dello sconfinato. Sì, sconfinato, come sconfinate sono le sofferenze che ogni cooperatore, educatore, psicologo, psichiatra, medico, sociologo, volontario possono, e hanno, incontrato nella loro missione. Perché avere a che fare con le sofferenze, accoglierle, farsene carico, difficilmente si può associare a una professione e basta. Ci vuole professionalità, certo, tanta, si può dire infinita. Ma ci vuole anche altro per vivere l’accoglienza: “portare in superficie il dolore – scrive Cecco Bellosi – sottrae all’indifferenza e il dolore degli altri non può essere solo un dolore a metà. L’accoglienza è, allo stesso tempo, il valore fondante della comunità e il cuore pulsante della terapia”.
Ecco, nel libro presentato sabato 4 marzo con Leonardo Montecchi, psichiatra, tra i fondatori del movimento che ha poi generato la Cooperativa Sociale Cento Fiori, e l’autore (chi scrive ha moderato il dibattito) si è parlato di più di 30 anni di esperienze che Cecco Bellosi ha superato con le comunità del Gabbiano oltre L’orlo del bosco. Oltre quella soglia, cioè, che ci ricorda come metafora: tra luce e oscurità, dove inizia il viaggio «nella sofferenza delle dipendenze, della follia, delle solitudini. Lì dove praticare una cura non significa imporre modelli normativi né discipline».

Teatro di questo argomentare, organizzato dalla Cooperativa Sociale Cento Fiori, aderente al CSR, insieme a Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza – CNCA dell’Emilia – Romagna (presente con la presidente regionale Silvia Salucci) e l’Associazione Rumori Sinistri, è stata Casa Don Gallo, metafora anch’essa dell’accoglienza riminese e orlo essa stessa ma di un’area: il parco XXV aprile, che rende l’idea di quanto si siano ampliati i confini cittadini del bisogno. Se, come ha detto Cristian Tamagnini nell’introduzione all’evento, c’è una comunanza dell’esperienza narrata con la cooperativa Sociale Cento Fiori che lui presiede e con Casa Madiba, questa può sintetizzarsi in un passaggio. «Quando Bellosi suggerisce che occorre porsi nell’accoglienza come una nave corsara, ovvero “bisogna stare dentro al sistema ma anche contro al sistema”, una frase che sintetizza il rapporto dialettico che occorre avere con le istituzioni.
Anche la Cento Fiori è nata da un percorso del genere, da una manifestazione di piazza, come anche Casa Don Gallo è nata da un’occupazione. L’altro elemento che mi ha colpito è di considerare i valori del rispetto, della libertà, della responsabilità, della negoziazione costante come prassi educativa e terapeutica, come fattori di cambiamento. Modelli che non servono solo nei sistemi di cura ma anche nella società, che vediamo si accanisce sempre di più sulle persone fragili anziché difenderle, piuttosto che combattere povertà e marginalità. Modelli di cura e di società per noi contrapposti ad altri modelli per combattere le dipendenze, che agiscono con le coercizioni, le deleghe o modelli paternalistici ai quali adeguarsi in maniera passiva».

Ma qual è stato il vero orlo del bosco dell’autore, quello fuori dalla metafora? Sono tanti, disseminati tra le località del lago di Como e l’hinterland milanese. Come tanti sono i personaggi e le storie di cui sono vittime e al tempo protagonisti, che vengono disegnati in una narrazione che ha caratteri tondelliani a tratti per la potenza evocativa e l’energia profusa dal narratore. Tante storie, tante idee, tanta politica applicata alla realtà sociale, con tesi alle quali avvicinarsi e confrontarsi anche solo seguendo il ritmo del narrare. Ne estraiamo una per tutte, quella più aderente al titolo geograficamente: quella del bosco di Rogoredo, Milano. Ai più forse un nome che echeggia in una delle ballate di amori strampalati di Enzo Jannacci. Ma a Milano è un bosco vero, diventato accogliente per la povertà ma anche reclusivo, con tendopoli fatte di teli di plastica e vite ai margini dettate dalle dipendenze, a un passo dall’essere rinchiuse da un muro che poteva circondare il bosco. Un orlo che è stato scardinato dalla cultura, un’idea apparsa strampalata, degna di una ballata del cantore meneghino, ma concretizzata in un progetto che il Gabbiano, alcuni artisti e delle riluttanti istituzioni locali hanno comunque avviato, creando una rete che ha attirato fuori dal bosco almeno duecento persone.
«E’ difficile classificare il libro. Non è un saggio barboso o accademico, ma nello stesso tempo è anche un saggio, attraversato da una esperienza personale importante che lo porta ad essere anche un romanzo, dove compaiono molti personaggi reali», introduce il libro Leonardo Montecchi. Che si concentra su un aspetto peculiare, anch’esso una metafora: «è un libro attraversato dall’olfatto, dall’odore che caratterizza le istituzioni totali. E infatti Cecco dice che l’odore che c’è nel carcere è l’odore delle istituzioni totali. Ne parla anche Franco Basaglia – lui che ha conosciuto il carcere da partigiano – all’inizio della sue esperienza trasformativa a Udine di una istituzione totale, quale è il manicomio. Non è facile sentirlo questo odore, ma riuscire a trasmetterlo significa che una persona riesce a rendersi conto che le istituzioni totali possono presentarsi dove meno uno se le aspetta e che di essa, dell’istituzione totale, c’è sempre il pericolo in agguato che si possa creare, anche con dispositivi parziali».
L’orlo del bosco – La cura delle dipendenze tra catene e libertà, di Cecco Bellosi, DeriveApprodi 2022
15 marzo 2023