CSR: si chiude un 2021 positivo all’insegna della stabilità. Carlo Urbinati: “Ora riflettiamo su che tipo di Consorzio vogliamo essere”

Il 2021 si chiude come si era concluso il 2020: un bilancio positivo, che riconferma i numeri e la resilienza della cooperazione sociale in tempo di pandemia. In questa intervista il presidente Carlo Urbinati guarda soprattutto al futuro: le nuove sfide che si profilano all’orizzonte tra inserimento lavorativo, territorialità e fedeltà ai valori. E, soprattutto, il desiderio di avviare una riflessione interna al CSR sul Consorzio che verrà.

Presidente Urbinati, come è stato per il CSR il 2021, l’anno che si sta per concludere?

Dal punto di vista economico, non ci sono state grandi variazioni: è stato un anno di tenuta e il bilancio ha fatto segnare lo stesso fatturato dell’anno precedente.

Come si prospetterà invece l’anno nuovo?

Se devo guardare al futuro, vedo invece dei cambiamenti all’orizzonte. E questo sicuramente ci metterà di fronte a sfide nuove.

Come pensate di affrontarle?

Nell’ultimo Consiglio di Amministrazione del CSR, svoltosi poche settimane fa, ho aperto un dibattito proprio su questo tema. Il mio desiderio è quello di aprire una fase di confronto tra tutte le cooperative associate, una sorta di assemblea aperta permanente che rifletta sulla vision che dovrà avere il CSR.

Da dove nasce questo desiderio?

Quest’anno la legge che ha istituito la cooperazione sociale – la ‘famosa’ 381 – ha compiuto 30 anni. Ha rappresentato, e lo rappresenta ancora, una grande intuizione del legislatore: è stata la risposta italiana al bisogno di dare corpo ad un welfare territoriale importante. Ma è proprio sulla parola “territorio” che vogliamo riflettere.

Perché?

La cooperazione sociale è storicamente legata al territorio che la esprime: agli enti, alle istituzioni locali e ai lavoratori di quel territorio medesimo. Questo legame oggi mi sembra che stia andando almeno in parte in crisi. Lo dico alla luce dei fatti. Le cooperative sociali negli anni sono cresciute e si sono strutturate come aziende, soprattutto quando si è passati dagli affidamenti diretti alle gare, anche per la necessità di affrontare un mercato che stava cambiando. In questo scenario, alcune cooperative hanno perso questo valore legato alla territorialità e sono diventate imprese che ambiscono a spazi sul territorio nazionale.

Sta succedendo anche sul territorio dell’Area Vasta?

Come CSR vediamo arrivare sul nostro territorio cooperative provenienti da altre regioni: dopo aver vinto un bando, iniziano a svolgere i propri servizi anche da noi. Anche in questo caso è evidente come il valore della territorialità venga azzerato.

La fine dell’affidamento diretto ha sicuramente inciso.

L’affidamento diretto come modalità di assegnazione di un appalto era la diretta conseguenza di un fortissimo legame con il proprio territorio. Oggi esistono gare riservate alle cooperative sociali o con clausole sociali rilevanti: va bene, ma ci sono cooperative più strutturate che hanno iniziato a guardare fuori dal proprio territorio.

Questa situazione, che conseguenze ha secondo lei?

Fa emergere la debolezza di una cooperazione sociale fatta di piccole realtà: “perle” preziose, bellissime, ricche di storia, ma che non hanno la possibilità di competere con cooperative più grandi.

La perdita del valore territoriale, allora, è inevitabile?

Io temo di sì.

Cosa potrebbe cambiare in questo nuovo scenario?

La cooperazione sociale non è impegnata ‘soltanto’ nel dare lavoro alle persone. Attraverso l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, essa dà risposte specifiche, per esempio, ai servizi sociali. Infatti veniamo interpellati su casi particolari, e interveniamo. Rappresentiamo una risposta concreta. Ma se facessi una gara, per esempio, per un servizio di pulizie a Milano, Viterbo, Catania: cosa dò al territorio? Che valore aggiunto posso dare?

Guardare oltre il proprio steccato, alla luce di quanto descrive, diventa inevitabile.

Oggi la cooperativa sociale, se vuole sopravvivere sul mercato, deve andare oltre il proprio steccato territoriale. Ma se il futuro che ci aspetta sarà questa, il CSR – che è un consorzio territoriale, essendo impegnato nell’Area Vasta della Romagna – potrebbe incontrare delle difficoltà. Guardiamo ai numeri. Nel 2021 il CSR ha partecipato a 50 gare. Ci sono cooperative che ne fanno 500 all’anno.

Che cosa significa tutto questo per il CSR?

Il CSR ha gli strumenti per portare avanti la cooperazione sociale come è sempre stata. Ma: se il mondo sta cambiando, vogliamo, dobbiamo cambiare anche noi? Il valore del CSR è riconosciuto dalla società e, in primis, dalle stesse cooperative che lo compongono e lo esprimono: si sta scontrando però con un mondo che sembra andare in un’altra direzione, dove si guarda esclusivamente al valore economico, al fatturato, perdendo di vista tutto il resto – il welfare territoriale, l’inserimento lavorativo – che è invece costitutivo della realtà della cooperazione sociale.

Che ruolo può avere la politica?

Può dare risposte attraverso la strutturazione di bandi dove venga tenuto conto della territorialità, per esempio, valorizzando di più il progetto tecnico rispetto alla parte economica.

Qualche anno fa le cooperative hanno iniziato ad aggregarsi, per proporsi sul mercato come un soggetto più strutturato. Ci sono stati molti processi come questi?

Non moltissimi. Le piccole cooperative hanno paura di perdere la propria identità e lo capisco. Tutte hanno una storia bella alle spalle, anni di lotta e di fatica cui sono legate. Certo, sarebbe auspicabile che ci fosse una strutturazione più forte. Ma sei portato a farlo quando sei ormai costretto, e forse quando – a questo punto – è troppo tardi.

La 381/91 ha compiuto trent’anni. La Legge Regionale 17/2005 ha superato i quindici anni ed è in fase di rinnovamento. La cooperazione sociale italiana è ancora un modello a cui l’Europa guarda con attenzione?

A livello internazionale percepisco molta meno attenzione nei nostri confronti. Anni addietro ci eravamo potuti confrontare con realtà simili a livello europeo perché esistevano progetti di scambio finanziati dall’UE. Adesso i progetti di interscambio esistenti sono dedicati a far crescere l’Est Europa. Però…

Però?

Abbiamo presentato un progetto Erasmus su questi temi. Siamo capofila noi del CSR, per l’Italia, e abbiamo coinvolto un’associazione greca e una svedese. Aspettiamo l’esito della nostra proposta per febbraio 2022. Si chiama PEOPLE@WORK. Se venisse approvato, allora potremo ritrovare realtà europee come la nostra: per conoscersi, confrontarsi, crescere.

Insomma la cooperazione sociale, anche in tempi complessi, non si ferma e non rinuncia alla propria creatività.

23 dicembre 2021


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