Csr di Area Vasta. L’intervista a Giacomo Vici, del Consorzio Sol.Co di Ravenna

Cooperazione sociale di tipo A e B: “Possiamo giocare un ruolo strategico, senza perdere mai di vista la nostra mission”

Giacomo Vici, 32 anni, originario di Senigallia, è laureato in Giurisprudenza: dal 2008 si è trasferito a Ravenna, dove vive con la moglie e una figlia, occupandosi di contrattualistica, prima per il Consorzio Agape e, dal 2012, per il Consorzio Solco, che raduna cooperative di tipo A e B del territorio della provincia di Ravenna. Vici è uno dei due rappresentanti permanenti delle cooperative ravennati (che nell’ultima assemblea del CSR sono entrate a far parte del Consorzio Sociale Romagnolo, sempre più di ‘area vasta’) in seno al CDA del CSR. In questa intervista chiarisce quale è stato il percorso di adesione al CSR delle Coop di Ravenna e le attese che la cooperazione sociale ripone in questo consorzio di area vasta.

Vici, che cosa è e cosa fa Il Solco?
Il Solco è un consorzio che associa 14 cooperative sociali sia di tipo a sia di tipo b, 13 della provincia di Ravenna e una di Cesena, fornendo alle stesse associate vari servizi tra cui: general contractor, amministrativi, paghe, sicurezza, qualità, ecc.. Di questo Consorzio sono entrate nel CSR: Ceff Servizi, La Pieve, Il Mulino, tutte aderenti al Consorzio Agape. E poi c’è la Coop Comil di Marradi che non è aderente al Solco e non è stata aderente al Consorzio AGAPE, ma è una coop di Federsolidarietà Ravenna.

Perché avete scelto di entrare nel CSR?
L’ottica che ha spinto il Consorzio Solco di favorire l’entrata delle Cooperative nel CSR è stata duplice: da un lato la semplificazione della rappresentanza della cooperazione sociale, dall’altra una logica più prettamente commerciale. A fronte infatti di uno scenario dove si muovono interlocutori molto strutturati, come Usl Romagna o Hera, che promuovono gare di Area Vasta, era logico immaginare che i consorzi ‘provinciali’ non fossero più adeguati. Avevamo avuto proposte di altri aggregazioni con cooperative non sociali, abbiamo valutato persino l’idea di costituire un consorzio nuovo. Alla fine abbiamo scelto di aderire tutti al Consorzio Sociale Romagnolo, al fine di poter rappresentare al meglio le istanze tipiche delle cooperative d’inserimento lavorativo, ossia dar voce alle persone svantaggiate che possono riscattarsi tramite il lavoro. Questa adesione è stata determinata anche da altri fattori: per le dimensioni di CSR sia come fatturato che come compagine associativa, per la compattezza del gruppo dirigenziale espressione della cooperazione sociale, per la governance democratica che rispecchia i principi del modello cooperativo, senza contare che il CSR è unitario, aderendo sia a Confcooperative che LegaCoop. Questi’ultimi due fattori sono stati senz’altro decisivi, perché tutte le cooperative potessero confrontarsi nella maniera più ampia possibile.

Come avete strutturato il rapporto?
Va detto che il Consorzio Sociale Romagnolo fa parte, come anche AGAPE, di FABER, il Consorzio di secondo livello che da Modena a Rimini ha radunato cinque Consorzi provinciali di tipo b. Il rapporto era quindi già strutturato. Con l’ingresso nel CSR inoltre, in qualità di referente delle cooperative aderenti a Confcooperative Ravenna (insieme a Cesare Zavatta, della cooperativa Lo Stelo, come referente delle cooperative di LegaCoop Ravenna, ndr.), sono stato invitato quale membro permanente, senza diritto di voto, nel CDA del CSR: infatti il Consorzio aveva appena rinnovato gli organi. In questo modo ci è possibile partecipare attivamente alla vita del Consorzio e conoscere il CSR dal di dentro mantenendo dei rapporti sempre più frequenti con il gruppo dirigente del CSR.

In questi primissime settimane dopo l’adesione al CSR, su cosa avete lavorato?
Avevamo come obiettivo quello di lavorare all’interno di una ‘casa comune’ per affrontare i bandi con un peso specifico importante. Ed infatti la prima fattiva collaborazione l’abbiamo avuta in queste ultime settimane preparando una gara della ASL di Romagna, per la manutenzione delle strutture sanitarie da Marradi e Faenza fino a Cattolica. Abbiamo partecipato, ora stiamo a vedere cosa accadrà. Ma il primo risultato l’abbiamo già raggiunto. A Ravenna e Rimini il CSR ha rappresentato tutte le cooperative sociali nei rapporti con la committenza; nella provincia di Forlì – Cesena, il CSR è in ATI con altre cooperative di produzione e lavoro dove rappresenta la Cooperazione Sociale di tipo b.

Quali sono le sfide per il prossimo futuro?
Entro fine anno dovremo confrontarci con Hera per i servizi di spazzamento e raccolta differenziata: esistono dei contratti con Agape per altri servizi che abbiamo con Hera, ma desideriamo che passino attraverso il Consorzio Sociale Romagnolo. Nel lungo periodo invece, ci auguriamo che il CSR possa diventare sempre più un consorzio di area vasta, associando altre cooperative di Ravenna, Forlì, Cesena, e che operi sia per garantirsi dei lavori, ma anche e soprattutto per favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, dando vita ad un modello di inserimento lavorativo condiviso.

Qualcuno sostiene, a fronte della modifica dell’articolo 4 della 381 promosso dall’ultima legge finanziaria e di una spinta decisiva verso gare a scapito degli affidamenti diretti, che la cooperazione sociale è di fronte a sfide forse superiori alla propria natura: cosa ne pensa?
La cooperazione sociale ha senso nella misura in cui continua a svolgere la propria mission: quella di tipo A puntando su assistenza ed educazione legata al territorio da cui proviene, quella di tipo B promuovendo l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate sempre legate al territorio di appartenenza. Per fare questo c’è bisogno che tutte le cooperative sociali siano vere e proprie imprese (che investano sulla propria innovazione) e che gli Enti pubblici favoriscano convenzioni e bandi con clausole sociali. In questo scenario, la cooperazione sociale non deve perdere la sua identità: la distintività rispetto ad una cooperativa di produzioni lavoro è insita nello scopo sociale. Perdere questo strumento o confonderlo con le altre imprese snaturando le cooperative sociali di tipo B vorrebbe dire privare le persone svantaggiate dell’opportunità di riprendere in mano la propria vita. Il rischio è quello di incentivare quelle poche realtà che operano nella “zona grigia”, dove si trovano le false cooperative, rischiando di andare incontro a degenerazioni che, purtroppo, abbiamo imparato a conoscere.


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