CSR. Speciale Covid-19: storie di cooperazione sociale e resistenza
Lo scorso 12 marzo 2020, all’inizio del lockdown, Confcooperative – Federsolidarietà, LegacoopSociali, Agci Solidarietà, Fp Cgil, Cisl Fp, Cisl Fisascat, Uil Fpl e UilTucs scrivevano al premier Giuseppe Conte che erano a rischio causa pandemia “200.000 occupati delle cooperative sociali che erogano servizi di welfare a 6 milioni di italiani”, lanciando l’allarme sui presidi sociosanitari, sociali ed educativi che il mondo della cooperazione sociale stava garantendo e che rischiavano il tracollo.
Sottolineavano inoltre che “le attività di interesse generale garantite dalla cooperazione sociale hanno dirette ricadute su persone e famiglie che si vedono negare la possibilità della presa in carico di anziani e disabili a causa della chiusura dei centri diurni, o l’interruzione dell’assistenza e cura domiciliare, oltre che le interruzioni dei servizi educativi”. Da qui la richiesta di “un dispositivo normativo che consenta (ed anzi obblighi), in modo chiaro ed esplicito, le pubbliche amministrazioni ad erogare in continuità le quantità previste dagli accordi vigenti e già appostate nei bilanci anche in regime di sospensione o chiusura delle attività” e la disponibilità delle coop a “ritarare e ricalibrare i servizi per i contratti già in essere che hanno per oggetto attività sociosanitarie, sociali ed educative, ricalibrandole e modificandole in base alle attuali esigenze e modalità di erogazione sempre nella massima sicurezza di utenza e lavoratori”. E infine, la richiesta di una garanzia sulla distribuzione dei DPI (dispositivi di protezione individuale), fondamentali per le cooperative sociali “nello svolgimento dei servizi essenziali alla persona e negli interventi nei presidi sanitari”.
Questo avveniva a livello nazionale. Ma a livello locale, all’interno di ciascuna cooperativa, che cosa è accaduto? Come è stato vissuto, e come viene ancora vissuto, il tempo del Covid-19?
Oggi, trascorsi oltre quattro mesi dallo scoppio della pandemia e in un momento di ripresa del lavoro – ma la ‘normalizzazione’ sembra ancora un traguardo lontano da raggiungere – abbiamo voluto, come CSR, provare a raccontare alcune storie di ‘resistenza’ al tempo di Coronavirus chiedendo alle cooperative associate al Consorzio Sociale Romagnolo di narrare come avevano vissuto il lockdown: quali servizi erano stati chiusi, quali invece avevano continuato ad operare e come si erano adattate ai nuovi regolamenti imposti per evitare il contagio.
Ne emerge un ritratto vivace e vivo, con note positive e altre più difficili, su questo tempo che ha toccato in modo duro anche la cooperazione sociale, impegnata nella sua opera di inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Un ‘mondo’ fragile e bello al tempo stesso che ha messo in atto ogni risorsa possibile, umana ed economica, per resistere. In tutti i modi.
Buona lettura.
30 giugno 2020