Legge Regionale 17/2005 e non solo: il punto sul lavoro. Intervista ad Andrea Panzavolta

Dopo la nascita dell’Agenzia Regionale per il lavoro e dopo la stipula della Convenzione Quadro del 7 dicembre 2017 che ha ridefinito le procedure applicative della Legge Regionale 17/2005, con il dott. Andrea Panzavolta, Dirigente del Settore Formazione-Lavoro-Istruzione-Politiche Sociali della Provincia di Ravenna, facciamo il punto della situazione del mondo del lavoro in Emilia-Romagna. In un’intervista esclusiva rilasciata al CSR-Consorzio Sociale Romagnolo veniamo guidati nella comprensione dello stato dell’arte, del profondo lavoro svolto per uniformare la normativa e revisionare le procedure, dei “numeri” presentati in Conferenza Regionale del 2018. Con la consapevolezza dell’importanza del ruolo delle cooperative sociali e del tanto lavoro che, ancora, c’è da svolgere, a livello regionale e locale.

Dott. Panzavolta, parliamo della Legge Regionale 17/2005: cosa rappresenta per lei questo provvedimento normativo?

La legge regionale 17 del 2005 è stato un provvedimento normativo di grande importanza che ha ridisegnato una serie di istituti e di procedure in materia di servizi e politiche per il lavoro. Dal 2005 il Consiglio Regionale è poi tornato su quella norma più volte, da ultimo proprio per costituire l’Agenzia per il lavoro superando l’assetto che faceva perno sulle province.

Qual è uno dei punti chiave della Legge 17, secondo lei?

Una delle innovazioni più importanti introdotte dalla legge 17 è rappresentata dalla possibilità per le imprese di assolvere l’obbligo di assunzione di disabili attraverso la stipula di convenzioni trilaterali con la presenza delle cooperative sociali.

Ci aiuta a leggere i “numeri” sulla Legge 17, per capire la portata di questa normativa e il suo reale impatto sul mondo del lavoro?

Per parlare di numeri credo sia utile fare riferimento a quelli presentati in Conferenza Regionale dello scorso anno. Nel periodo compreso tra il 2013 e il 2017 sono state avviate al lavoro nell’ambito del collocamento mirato 15.323 persone. Di queste, 13.641 sono state avviate al lavoro una sola volta, 1.380 due volte, 302 persone più di due volte; questo significa che ci sono stati 17.443 avviamenti complessivi al lavoro in questi anni. Si è tornati pertanto ai circa 3.500 avviamenti medi ogni anno, sullo stesso livello che si era registrato nel periodo 2000-2006, in cui si aveva una condizione di piena occupazione in Emilia-Romagna.

All’epoca della crisi economica internazionale, invece, che situazione configuravano i dati in vostro possesso?

Nel corso del periodo 2007-2012, in piena crisi economica internazionale, eravamo scesi a 2.750 avviamenti annui. Sono poi 14.561 le imprese che devono riservare 40.125 posti di lavoro alle persone con disabilità, corrispondenti al 2,6% dell’intera base occupazionale regionale alle dipendenze. I posti di lavoro effettivamente scoperti, senza alcuna previsione di assunzione alla fine del 2017, erano 3.959, il 9,9% del totale da riservare all’inserimento lavorativo delle persone con disabilità nelle imprese della regione. Nel 2008, all’avvio della crisi economica internazionale, ve ne erano 7.751, quasi il 20% del totale.

Rispetto al collocamento mirato?

Aumentano anche gli iscritti al collocamento mirato, che nel 2017 sono stati 6.937 (+54% rispetto al 2008). Un dato che denota come anche persone con disabilità lievi che prima usufruivano del collocamento ordinario ora preferiscano utilizzare quello mirato. Gli utenti con disabilità che si sono rivolti ai servizi per l’impiego sono 18.012 nel 2017 ed hanno ricevuto 73.800 prestazioni. Sono cresciuti costantemente negli anni ed hanno fruito mediamente di più servizi rispetto al passato, avvalendosi della stipula del patto di servizio e di misure personalizzate, quali: colloqui e/o consulenza orientativa, promozione di tirocini, percorsi di accompagnamento al lavoro, intermediazione per l’incrocio tra la domanda e l’offerta, con verifiche puntuali per ricoprire posti vacanti coerenti con la propria candidatura. Nell’arco dell’ultimo quinquennio le convenzioni ex art.11 stipulate tra i servizi di collocamento mirato e le imprese in obbligo sono in aumento in tutti i territori della regione. Nel 2017 hanno riguardato 1.474 aziende per 2.688 posti (rispettivamente +37% e +55% rispetto al 2013.

Le convenzioni trilaterali stipulate sulla base dell’articolo 22 della Legge Regionale 17 del 2005, che tipo di segnali hanno dato?

Per venire alle convenzioni trilaterali che coinvolgono le cooperative sociali, vediamo come l’andamento della stipula di convenzioni ai sensi dell’art. 22 L.R. 17/05 evidenzia fino al 2016 un dato positivo. Le convezioni infatti passano da 135 del 2013 a 166 con relativo aumento dei posti. Nel 2017 si nota invece una diminuzione del ricorso all’istituto in quanto la centralizzazione delle competenze a livello regionale ha richiesto la definizione e la firma di una nuova “Convenzione Quadro” con le Parti sociali e la rivisitazione pertanto delle procedure di sottoscrizione a livello locale. Tale processo di riforma ha prodotto un rallentamento delle convenzioni attivate ma nel 2018 registriamo una ripresa delle convenzioni stipulate.

Ha qualche dato su Rimini?

Prendendo ad esempio la situazione di Rimini, nel 2016 erano state stipulate 41 convenzioni mentre nell’anno 2017 non ne è stata stipulata nessuna (anche se erano comunque attive 33 convenzioni stipulate nell’anno 2016 con scadenza nel 2017 e qualcuna anche nel 2018) mentre nel 2018 sono state stipulate 31 convenzioni sulla base dei nuovi criteri stabiliti dall’accordo quadro.

Rispetto alla recente storia della Legge 17, dal suo punto di vista, ci può dire quali sono le maggiori differenze tra il prima (gestione provinciale) e il dopo (gestione regionale) e la logica che è stata perseguita in questa riorganizzazione?

Come ho detto con la costituzione dell’Agenzia Regionale si è modificato in modo radicale l’assetto dei servizi e delle azioni di politica del lavoro ed è stato inevitabile dare il via a un complesso processo di revisione delle procedure (precedentemente formalizzate dalle diverse province) ma anche di rilettura delle modalità di gestione dei servizi. Forse dall’esterno non si è colta l’intensità e la profondità (ma anche la faticosità) del lavoro svolto ma posso assicurare che si è trattato di un’operazione che ha assorbito moltissime energie e impegno. Se prima infatti era legittimo e giusto che nei diversi territori le Amministrazioni Provinciali definissero differenti regole e procedure ma anche modalità specifiche per supportare imprese e lavoratori, con la costituzione di un unico soggetto di livello regionale di gestione dei servizi per il lavoro (l’Agenzia Regionale per l’appunto) non era più possibile immaginare un’articolazione diversificata sulle varie province e, attraverso gruppi di lavoro dedicati e una costante opera di coordinamento, si sono fortemente omogeneizzate le procedure e le prassi operative.

Sono stati ridefiniti anche criteri e regole applicative: con che risultati?

Si. A questo processo appartiene anche la ridefinizione dei criteri e delle regole applicative delle convenzioni trilaterali di cui all’articolo 22 cui accennavo prima. Se infatti prima di questo intervento legislativo regionale le province autonomamente definivano le cosiddette convenzioni quadro (cioè, in sostanza, le regole del gioco delle convenzioni che vedevano l’intervento delle cooperative sociali), si è proceduto lo scorso anno alla definizione di una nuova convenzione quadro di livello regionale che per diversi aspetti ha ricalcato l’assetto già definito dalle convenzioni quadro provinciali ma, sotto diversi profili ha introdotto elementi di novità. Si è giunti così alla versione della Convenzione Quadro del 7 dicembre 2017 che ha inteso valorizzare questo istituto come strumento per favorire l’inserimento di persone in effettivo stato di gravità attestato esclusivamente da certificazione sanitaria. In qualche modo la nuova disciplina ha ristretto i criteri per individuare la possibile platea dei lavoratori interessati ma al tempo stesso ha conferito all’istituto un carattere specifico e derogatorio rispetto alla modalità ordinaria di assolvimento dell’obbligo.

Un commento sul valore di questo strumento che inserisce persone svantaggiate, dando opportunità di inserimento lavorativo alternativo?

La positività dell’istituto è fuori discussione e rappresenta la possibilità di inserimento lavorativo per persone che, diversamente, resterebbero quasi certamente escluse da un’occupazione. Dall’altra parte rappresenta per molte aziende una effettiva opportunità per assolvere l’obbligo in una modalità positiva (mentre attraverso formule come l’esonero parziale si genera di fatto per l’impresa un costo sterile per il datore di lavoro) consentendo peraltro, sempre a differenza dell’esonero parziale, la compensazione territoriale in entrata. Rappresenta infine una modalità nella quale entrano in gioco le cooperative sociali, soggetti con una capacità di svolgere servizi con elevati standard di qualità ed efficienza ma anche di garantire il presidio dell’inserimento lavorativo di persone con obiettive difficoltà grazie alle elevate competenze professionali e psicosociali dei loro operatori ma anche grazie alle straordinarie doti che questi possiedono sotto il profilo umano e di attenzione alla persona.

Secondo lei ci sono dei margini di miglioramento in questo strumento? Prevede cioé che ci potrebbe essere un’ulteriore evoluzione?

L’attuale Convenzione Quadro scadrà a fine anno e occorre che gli organi di concertazione mettano sotto i riflettori il tema. Questa riflessione dovrà accompagnarsi anche all’esame delle convenzioni art. 12 bis sottoscritte nell’anno in corso per valutare quali azioni intraprendere per migliorare questi istituti. Personalmente ritengo che il coinvolgimento della cooperazione sociale (e quindi le convenzioni ex articolo 22) sia comunque prezioso e in qualche modo preferibile dal momento che queste organizzazioni garantiscono un inserimento più protetto alle persone disabili grazie alla presenza di tutor e personale specializzato e soprattutto perché questo tipo di attività (come ho già detto svolte con professionalità e senso di condivisione e umanità) rappresenta la principale vocazione di questi soggetti, cosa che non si può pretendere in termini analoghi da altri soggetti di mercato.

Ci sono altri aspetti su cui occorrerebbe soffermare l’attenzione in questo ambito?

Ci sono due temi che credo andrebbero esaminati: il primo è quello degli effetti del cosiddetto “decreto dignità” (ed in particolare le disposizioni sulle proroghe del lavoro a termine) sui lavoratori assunti nell’ambito delle convenzioni art.22. Su questo tema l’Agenzia ha predisposto un quesito al Ministero auspicando un’interpretazione derogatoria di queste disposizioni stante il carattere eccezionale della tipologia di assunzioni in oggetto.

Il secondo?

Il secondo aspetto su cui bisognerebbe fissare l’attenzione è quello relativo a che cosa succede al lavoratore assunto (e alla cooperativa che lo ha assunto) nel momento in cui la commessa termina e non viene rinnovata. Si tratta di ragionare insieme e con buon senso se vi sono modalità intelligenti e eque per computare questi lavoratori nell’ambito, ad esempio, di altre convenzioni che possono essere in via di definizione.

La norma inoltre dà la possibilità di estendere le disposizioni previste dall’art. 22 anche alla PA. Cosa ne pensa?

A titolo esclusivamente personale ritengo poi che un altro tema che potrebbe essere affrontato sia la possibilità già prevista dalla norma di estendere le disposizioni previste dall’articolo 22 anche alle Pubbliche Amministrazioni. Certamente questa estensione alle PP.AA. della possibilità di adempiere all’obbligo, attraverso l’affidamento di commesse di lavoro a cooperative sociali, dovrebbe tener conto dei vincoli di trasparenza con cui le PP.AA. devono agire e, quindi, che l’individuazione della cooperativa affidataria avvenga attraverso una procedura di evidenza pubblica; ma sarebbe comunque una importante innovazione che faciliterebbe l’inserimento di un numero più levato di persone “difficili”.

Ci può stilare un primo bilancio del lavoro che sta svolgendo l’Agenzia Emilia Romagna Lavoro?

Sinceramente è difficile; l’Agenzia ha fatto un lavoro straordinario di omogeneizzazione e standardizzazione di procedure amministrative e servizi; ha continuato a garantire alle persone e alle aziende un livello qualitativamente soddisfacente di servizi; ha introdotto elementi di grande novità nell’integrazione con l’insieme dei servizi territoriali (come nel caso dei dispositivi della legge regionale 14 e come le progettazioni personalizzate del Reddito di inclusione). Ora inizia a confrontarsi con le nuove disposizione (sinceramente complicate) del Reddito di Cittadinanza, ma ha dovuto anche affrontare una serie complessa di modifiche normative rilevanti che ci hanno complicato la vita.

Per esempio?

Ha gestito un passaggio delicatissimo relativo all’introduzione di percorsi di servizio alle persone disoccupate gestiti da un insieme di soggetti privati (la cosiddetta Rete attiva per il lavoro). Da un punto di vista strutturale dopo la fase di grandissima difficoltà che ha fatto seguito al passaggio dalle province al soggetto unico regionale sono stati fatti concorsi e acquisito nuovo personale e si è irrobustita anche la struttura centrale.

Quindi?

Se guardiamo al lavoro fatto in questi anni ne traiamo certamente un bilancio largamente positivo e i numeri dei monitoraggi annuali lo documentano ampiamente; ma non ho timore a dire che abbiamo ancora moltissimo lavoro da fare e dobbiamo migliorare su moltissimi fronti per essere all’altezza dell’idea che noi stessi abbiamo in mente del nostro ruolo e del nostro compito. Per fare questo c’è bisogno, un gran bisogno, di ascoltare tutti quelli che operano sul fronte dell’orientamento e dei servizi per l’occupazione, in particolare dell’accompagnamento all’inserimento lavorativo, per capire che cosa migliorare e che cosa fare meglio insieme valorizzando tutte le risorse disponibili sui territori.

29 luglio 2019


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